Il vino Faro Doc
Il “Faro”, come noto, è la D.O.C. del comune di Messina, una D.O.C. sicuramente piccola per superfici vitate e produzioni ma di grande livello qualitativo e con un notevole potenziale ancora in parte inespresso.
La zona di produzione del “Faro” comprende l’intero territorio del comune di Messina ed ha il suo centro proprio sulle colline poste a ridosso del Capo Peloro. Tutta l’area geografica interessata vanta un’antichissima vocazione vitivinicola; già in età Micenea si ha testimonianza di una fiorente attività che permane florida fino al XIX secolo, periodo in cui l’esportazione verso le regioni francesi del Bordeaux e della Borgogna raggiunge livelli elevatissimi.
Il vino “Faro” in questo periodo viene utilizzato, come del resto gran parte del prodotto siciliano, per il taglio delle produzioni francesi gravemente compromesse dagli attacchi della fillossera
Nell’intera provincia di Messina nell’ultimo decennio del secolo la produzione annua di vino arriva a 500mila ettolitri.
Nel periodo immediatamente successivo si ha un brusco calo delle superfici dedicate alla produzione di uve da vino ma ancora nel 1927, nell’opuscolo redatto dalla “Regia Cantina Sperimentale di Milazzo”, in occasione della Fiera Enologica della città, si cita il vino “Faro”.
Nel 1939 il vino “Faro” partecipa alla IV mostra del mercato dei vini pregiati d’Italia e nel 1942 con il D.M. del 23.09.1942 il vino “Faro” viene inserito tra i vini pregiati d’Italia assieme all’Eloro, al Mamertino e all’Etna.
Gli eventi bellici e il successivo spopolamento delle campagne hanno via via determinato un ulteriore riduzione delle produzioni tuttavia, dal 1972 si avvia la procedura per il riconoscimento della D.O.C. che avviene nel 1976 con D.P.R. del 3 dicembre pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 4 marzo 1977 n. 61,
Negli anni immediatamente successivi al riconoscimento, per un breve periodo, si registra un incremento delle superfici dedicate alla produzione del “Faro” ma dopo pochi anni, in assenza di risultati economici significativi, molti produttori abbandonano le colture e un glorioso vino rischia di scomparire dall’elenco delle D.O.C. d’Italia.
Solo a partire dagli anni’90, grazie alla spinta di pochi testardi ed entusiasti produttori, il “Faro” conosce un periodo di rilancio e in questi anni si registra un continuo aumento delle superfici iscritte all’albo della D.O.C. che attualmente superano i 35 Ha con dimensione aziendale ridotta e limitate superfici ed una decisa svolta verso le produzioni di alta qualità
Il disciplinare di produzione della “D.O.C. “Faro” prevede l’utilizzo di Nerello Mascalese dal 45% al 60%, Nerello Cappuccio dal 15% al 30% e Nocera dal 5% al 10% per cento; gli altri vitigni ammessi sono il Nero d’Avola, il Gaglioppo ed il Sangiovese per un massimo complessivo del 15%
Nell’ampio e variegato patrimonio ampelografico Siciliano, i vitigni autoctoni esprimono pienamente il proprio potenziale solo in ambiti geografici ristretti e relativamente al “Faro” è interessante notare come il “Nerello Mascalese”, che trova probabilmente il proprio territorio d’elezione nelle aree vulcaniche dell’Etna, riesca a garantire interessanti prodotti nell’areale geografico messinese. Il “Nocera”, a nostro avviso è da considerare il vitigno caratterizzante in grado di determinare le peculiarità che caratterizzano il “San Placido”.
Il Faro è sicuramente da annoverare fra i rossi importanti, sia per l’ampio bouquet che lo caratterizza sia pure per l’elevato livello di estratto secco, l’acidità superiore almeno ai 5 g/l è indice di un vino fresco che si presta ad un affinamento prolungato.
Fra le caratteristiche che lo distinguono la persistenza di un bouquet delicato e la caratterizzazione del gusto, dovuta ai vitigni autoctoni, che evita l’omologazione ai vini ottenuti da vitigni internazionali.